Concattedrale di Taranto più famosa di palazzo Pirelli: le verità nascoste

La Concattedrale di Taranto fu progettata da Gio Ponti e costruita su terreni donati alla Chiesa dalla contessa D’Aquino: iniziano da qui 4 verità scomode

(photo credits: Mimmo Iodice, Daniel McCarthy Architect LLC e polinice.org)

Nei primi anni sessanta l’arcivescovo di Taranto, monsignor Guglielmo Motolese, affidò al famoso architetto Gio Ponti il compito di progettare una moderna Concattedrale nella parte nuova della città.

La Concattedrale di Taranto oggi sta sostituendo in popolarità la Torre Pirelli ma tutti nascondono alcune grandi verità soffocate dall’ignoranza e dall’ingordigia.

Il progetto della Concattedrale di Taranto si fonda su un’idea senza precedenti: la vela (al posto della cupola) è una facciata sul cielo.

Come se la immaginava la nuova Cattedrale mons. Motolese?
Egli intuì che il crocevia fra Viale Magna Grecia e Via Dante avrebbe rappresentato un forte polo di sviluppo urbanistico, dove la presenza di una grande chiesa avrebbe attribuito maggiore importanza a questa parte di città.

La Concattedrale di Taranto doveva rappresentare il fulcro di un percorso architettonico cominciato durante i primi secoli del cristianesimo e culminante nella nuova chiesa e “casa” per il Vescovo di Taranto, per i fedeli e per Dio.

In una delle sue lettere a mons. Motolese Ponti scrive:
“Vorrei, muovendo da questo progetto che l’esecuzione deve sviluppare, esaudire il più grande impegno per avvicinarmi alla verità religiosa del Tempio […] ispirazione cristiana d’architetto alzare mura che siano inestinguibili intime virtù delle creature umane”.

(La situazione in cui versava la zona circostante la Cattedrale subito dopo il progetto, circondata dalla vegetazione meditteranea dove ora vi sono le nuove edificazioni – tratta dal mensile DOMUS – 1971)

Tra Luglio e dicembre del 1964 la corrispondenza con mons. Motolese aumenta e Ponti opera alcuni cambiamenti fondamentali al progetto che daranno alla Cattedrale la sua forma architettonica definitiva.

A complicare il lavoro di Ponti i giudizi insindacabili della Commissione Liturgica e le regole imposte per distanze, altezze degli altari e posizionamento degli arredi; tuttavia l’Architetto si scrolla di dosso questo peso e continua con le proprie ispirazioni, spronato da mons. Motolese.

La Concattedrale, dedicata alla Gran Madre di Dio, doveva avere uno stretto legame con la tradizione marinara del capoluogo ionico. Infatti, ciò che subito colpisce l’osservatore è la simbolica “vela” che si riflette nell’acqua delle tre vasche collocate nel piazzale antistante, le quali rappresentano il mare.

Gio Ponti raccontava così “Ho pensato: due facciate. Una, la minore, salendo la scalinata, con le porte per accedere alla chiesa. L’altra, la maggiore, accessibile solo allo sguardo e al vento: una facciata per l’aria, con ottanta finestre aperte sull’immenso, che è la dimensione del mistero”.

La vela, alta 53 metri sopra la chiesa, convoca l’esterno e si riflette e si moltiplica all’esterno, negli specchi d’acqua antistanti: composta da due sottili pareti parallele, traforate, una a un metro dall’altra, su cui gioca la luce, è un’acrobazia architettonica, impasto di concretezza e di aria dedicata al cielo. (cit. Luigi Moretti)

Tra le indicazioni progettuali di Gio Ponti v’era l’ idea che la Concattedrale di Taranto fosse circondata da verde …..e di questo si è sempre preoccupato con una serie di contatti epistolari con la Curia tarantina sino quasi al punto di morte.

Secondo alcuni, vi è stato un chiaro tradimento da parte di chi ha preferito vendere i terreni circostanti avuti in dono dalla Contessa D’Aquino, consentendo la speculazione edilizia che oggi è sotto gli occhi di tutti.

Tutto quel costruire ha di fatto mortificato questa grande opera architettonica che, piaccia o non piaccia, costituisce uno dei pochissimi esempi di gotico moderno al mondo ed è annoverato tra gli ultimi capolavori di arte moderna al mondo.

Chissà come si sarà rivoltato nella tomba Giò Ponti, tradito da una città ignorante.

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credits photo: Mimmo Iodice
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