Taranto ce la racconta la giornalista Alessandra Cavallaro. Per chi ha voglia di amarla ancora. E di lottare per lei, nonostante tutto e tutti.
Con tutta franchezza io non lo accetto più. Non accetto che la notizia dello sversamento in Mar Piccolo da parte di un mezzo dell’Amiu e la smentita della Polizia Municipale, di fatto una correzione in corsa quando la notizia era già diventata pesantemente virale e ripresa dalle testate nazionali, passi come l’ennesima macchia di una Taranto “sporca e maldestra” che non sa badare a se stessa. La “solita Taranto”, la “poverina” che ha bisogno di un sostegno terzo, magari da parte del Governo, della stampella a cui appoggiarsi per ripulire i suoi errori.
E non accetto che si parli di un seno di Taranto sempre e solo come discarica, come spazzatura, monnezza, allarme, pericolo. Come se fosse un altro pezzo malato da aggiungere alla malattia. Un’altra ferita incurabile. Un’altra macchia che è di “tutta” la città, che parla di “tutta” di città. Perché questo è accaduto, nonostante le precisazioni e le future verifiche.
No, non è così, e non lo accetto. Dunque lo dico a gran voce: io non sono quella fotografia. Che poi lo sversamento in Mar Piccolo ci sia stato veramente oppure no, io non sono quell’immagine. E potrei stilare un lungo elenco di tarantini che non sono quell’onta.
Ma non basta. Perché non basta dire cosa non sono. Perché è come scattare un’altra fotografia, ma senza storia, senza colori, senza paesaggio.
Invece il paesaggio c’è. C’è nonostante l’oggettiva presenza, oramai acclarata da indagini sui fondali, di materassi, carcasse di macchine, rifiuti di ospedale, scarichi. C’è e continua nella sua corsa ad inseguire la vita, e se ne frega di chi ha distrutto, mutilato, se ne frega pesino della verità, amarissima, dell’inquinamento.
Ora vi dico chi sono, e sono certa di essere anche in buona compagnia. Del Mar Piccolo io sono la Riserva Palude la Vela, dove ogni anno arrivano migrazioni di uccelli da ogni parte del mondo. Lì vicino è stata scattata una delle fotografie più belle che abbia mai visto: io sono i fenicotteri rosa, il tramonto, il ponte. Ma sono anche la colonia di cavallucci marini, e i racconti in città vecchia sulla Pinna Nobilis.
Io sono il fiume Galeso con il suo occhio che esce dall’acqua, sono i citri che salutano le barche tutte le mattine, sono la mitilicoltura, i pali di castagno e la fatica della cozza a dare il frutto, io sono le falesie di argilla.
Io sono l’affaccio ventilato dal Parco Cimino, io sono l’ansa della Circummarpiccolo, le antiche masserie, il Convento dei Battendieri vicino alla foce del fiume Cervaro, il piccolo molo, la chiesetta a cielo aperto della Madonna di Fatima e la magica costruzione che cade a pezzi sotto il Ponte Punta Penna, scambiata per la casetta di “Pinocchio”. Pesino l’Ilva vista da lì fa meno male.
Io sono il silenzio di questi posti, io sono l’odore del mare che si mischia all’acredine dei fumi e ai profumi delle essenze e dei fiori delle tamerici. Io sono l’indizio, la traccia che lascia a terra, il pesce appena pescato. Io sono il chiasso naturale di tutte queste contaminazioni. E del silenzio, io sono la forza ostinata e contraria che non si arrende al vociare, e del chiasso sono l’amore incondizionato per tutto ciò che sopravvive all’inferno. Io sono questo equilibrio scomposto e fragile, perché queste sono le guance autentiche della mia città.
Alessandra Cavallaro
Giornalista
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