Eccola la bella Ginosa incastonata tra i villaggi rupestri che la cingono in un abbraccio dolcissimo e forte, d’inverno avvolta dalla magia del silenzio e del bianco candore
(foto Frantoio Oleario Bitetti)
Passiamo tanto tempo a dire e a fare.
Poi arriva la neve.
Fresca, bianca, silenziosa.
Copre le città, le riveste, le nasconde sotto un cielo prima bianco e poi azzurro.
E allora il mondo si ferma.
Improvvisamente, la neve fa più rumore di un aereo.
E’ un rumore che piomba deciso nel cuore, coccolandolo e meravigliandolo.
La neve è così.
Ci ridà quello che abbiamo buttato via. La pace, l’amore e tutto il resto.
E così anche a Ginosa, paese dell’entroterra in terra di Taranto.
Ginosa d’inverno. Vestita di bianco e d’azzurro.
Bella, pulita, splendente, calma.
Ginosa è un paese come un altro.
O forse no.
Perché qui ci trovi un po’ del passato di questa terra.
Un po’ di passato che a volte dimentichiamo, come se non c’importasse che altri hanno reso fertile un campo di pietre. Come se non contasse che a dare vita e lavoro ci fossero prima mandorli e ulivi. Come se non bastasse che qui la raccolta delle olive era una festa.
Insomma, Ginosa merita.
Siamo noi che a volte non ci meritiamo lei.
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Ginosa è caratterizzata dalla Gravina di Rivolta: l’antico villaggio scavato nella roccia, con i suoi ambienti ipogei, cisterne, strade, scalinate e ancora jazzi e giardini pensili. abbeveratoi.
La visita tipica a questa cittadina d’inverno può iniziare dalla Chiesa Matrice e proseguire tra grotte, rovine, antri presidiati da grandi fichi, abitazioni ancora utilizzate e un frantoio ipogeo caratterizzato da una grande vasca dove un tempo le olive venivano raccolte per essere schiacciate da possenti ruote in pietra (macine). Consigliamo di farsi accompagnare da una guida esperta.
“In questo maestoso canyon è conservata un’incredibile città interamente scavata nella roccia, in un continuo susseguirsi di “Vuoti nel Pieno” e “Pieni nel Vuoto” e dove i segni dell’uomo si manifestano in un sapiente utilizzo delle risorse naturali in armonia con il paesaggio roccioso, sin dal Paleolitico Medio (80’000 anni fa). Da allora uomini di tutte le epoche, contadini e pastori, monaci ed eremiti, immersi nei profumi inebrianti della macchia mediterranea, hanno dato vita a questo eccezionale Patrimonio Ipogeo.” Antonio Pizzulli