Abbiamo voluto conoscere il punto di vista di un uomo quotidianamente impegnato nei settori socio-economici cruciali per la città: scuola, politica, economia e commercio
Prof. Aldo Manzulli, uomo multitasking. Ricopre l’incarico di vice presidente vicario della Confcommercio Taranto ed è anche docente e imprenditore. Dove trova l’energia per fare tutto questo?
Tutti i dirigenti della Confcommercio, in verità, sono imprenditori che hanno scelto di sacrificare un po’ del proprio tempo per dedicarsi – per mero spirito di servizio – all’attività associativa nell’interesse esclusivo delle migliaia di singole imprese associate che annoveriamo in provincia di Taranto. In aggiunta, effettivamente, io esercito da oltre trent’anni anche la professione di insegnante; lo faccio ancora oggi con passione ed entusiasmo, così come le altre attività che svolgo: probabilmente è questo che mi dà l’energia necessaria per operare, come dice lei, in modalità “multitasking”.
Cominciamo dalla scuola: cos’è cambiato negli ultimi anni specie per quanto riguarda l’impegno dei ragazzi?
La motivazione dei giovani nei confronti dell’istruzione è mediamente in calo a causa delle gravi difficoltà che essi incontrano, subito dopo gli studi, nel trovare lavoro; per una gran parte dei ragazzi di oggi sembra ormai valere l’assunto: “se non ci serve a trovare lavoro, allora tanto vale non studiare”. Il sistema scolastico, in particolare la formazione professionale nelle scuole, nel post-secondario e anche nelle università, deve essere al centro di una strategia vincente per creare e valorizzare le competenze di cui l’economia locale e nazionale hanno bisogno.
Cosa sognano e cosa amano i suoi alunni?
C’è chi ha già ben chiaro che cosa vuole fare “da grande” e chi ha riempito “pieno zeppo” di sogni il cassetto della propria vita, ma ci sono anche tantissimi ragazzi e ragazze che non hanno ancora maturato delle concrete aspettative e sono spesso smarriti nell’incertezza sul proprio futuro, fortemente condizionato dalla crisi dilagante che esiste nella nostra società e, di conseguenza, in quasi tutte le famiglie. Tuttavia, devo smentire categoricamente il falso assunto che vuole che i giovani d’oggi siano tutti svogliati e privi di sogni e di desideri. Ai nostri ragazzi non mancano affatto le aspirazioni, né la speranza di poter contribuire a costruire una società migliore di quella che le precedenti generazioni hanno lasciato loro. Sono distanti dalla politica, ma nient’affatto disimpegnati: hanno bisogno di sentirsi accettati, riconosciuti per quel che sono, come persone, e quindi di ricevere risposte non generiche o massificate, ma il più possibile personalizzate; insomma, sono alla disperata ricerca di una bussola come fossero naviganti dispersi nell’oceano, ma così come altre generazioni del passato, anche i giovani d’oggi sono affascinati dall’esperienza del viaggio e dalla metafora del cammino, della strada difficile da percorrere e del traguardo.
In qualità di figura dirigente di una grande confederazione di negozi, qual è la sua visione del mercato tarantino? Cosa manca ai nostri negozi per essere davvero competitivi?
Mi da l’opportunità di sottolineare che la Confcommercio, storicamente conosciuta nel nostro territorio come ASCOM – Associazione Commercianti – è in realtà il più grande organismo di rappresentanza, non soltanto delle imprese impegnate nel commercio (negozi), ma anche di quelle attive nei settori del turismo, dei servizi, dei trasporti e del mondo delle PMI e delle attività professionali (lavoro autonomo). Tornando alla sua domanda, non è affatto semplice indicare cosa “manca” ai nostri negozi per essere davvero competitivi in una città come Taranto che, dichiarata “Area di crisi industriale complessa”, sta vivendo da anni una particolarissima situazione sociale, economica, ambientale e sanitaria che può essere definita come emblematica del passaggio da una civiltà pre-industriale ad una società post-industriale con tutte le enormi criticità connesse. In generale, potrei dire che in una situazione di forte calo generale dei consumi, accentuato nella nostra città ancor di più che rispetto alla media degli indicatori nazionali e regionali, l’innovazione rappresenta l’unico fattore di sopravvivenza e di crescita.
Quali sfide attendono i commercianti del futuro per i prossimi anni?
Un negozio al dettaglio, un albergo, un ristorante, sono imprese che più di altre sono esposte alla concorrenza in un mercato ampiamente liberalizzato ed ultracompetitivo e quindi richiedono una guida imprenditoriale che si basi su specifiche competenze manageriali, di marketing, di pianificazione, di gestione del personale e di consapevolezza di quali siano i meccanismi di funzionamento e di redditività del business.
Cosa si sente di consigliare ai commercianti per affrontare l’attuale congiuntura e predisporsi ai cambiamenti che si stanno affacciando sui mercati?
Oggi non si può ignorare che il web sta modificando profondamente il contesto competitivo del commercio, non solo quello di vicinato. Le nostre imprese devono acquisire la consapevolezza di quanto le nuove tecnologie e le loro possibili applicazioni nell’attività operativa d’impresa, possano rappresentare uno strumento funzionale al business ed utile allo sviluppo aziendale. Il problema dev’essere affrontato con una visione di tipo complessivo ed utilizzando in modo organico gli strumenti e le azioni disponibili e quelle da predisporre: regolamentazione, incentivi all’innovazione, formazione e programmi di ricerca e sviluppo, devono diventare – per le nostre imprese – aspetti del medesimo quadro d’azione nei confronti dell’offerta e della domanda.
La politica riveste un ruolo chiave anche nella determinazione delle direttrici del cambiamento, investendo su infrastrutture, decoro, servizi, territorio. Cosa è necessario che faccia e che non ha ancora fatto la politica locale per invertire la rotta del declino economico e sociale attualmente registrata a Taranto?
Esercizi e attività commerciali contribuiscono in maniera fondamentale a formare anche quella fitta trama di relazioni sociali che animano la vita delle nostre città; per questo è importante scongiurare in ogni modo possibile il fenomeno della desertificazione commerciale, vera anticamera del degrado urbano e sociale. La politica locale deve intervenire con fermezza e tempestività, muovendo le più opportune leve di incentivazione e di semplificazione nella direzione della rigenerazione e della rivitalizzazione urbana.
Quali sono i progetti di Confcommercio per il futuro. Cosa cambierà per i prossimi anni? E soprattutto quali sono le misure adottate dalla Confederazione per sostenere i commercianti in questa fase?
Negli ultimi anni, anche il ruolo delle associazioni d’impresa – evidentemente – è cambiato; Confcommercio ha intrapreso già da alcuni anni un nuovo corso: oltre agli aspetti legati alla tutela ed alla rappresentanza degli interessi generali ha sentito sempre più forte l’esigenza di fornire al sistema delle imprese del terziario strumenti concreti di sostegno all’attività quotidiana, dall’accompagnamento nei percorsi di accesso al credito ed alla finanza agevolata, alla formazione specializzata, soprattutto quella indirizzata a colmare specifiche carenze di cultura in materia d’innovazione e di miglioramento del servizio alla clientela. Innovare, infatti, è alla portata di tutti; e l’imprenditore che innova è anche quello che esce prima e meglio dalla crisi. Ecco perché una rappresentanza di impresa al passo coi tempi deve saper produrre e promuovere innovazione; dicevo, un percorso che Confcommercio ha intrapreso da tempo, per poter offrire adeguato supporto alle imprese del commercio, del turismo, dei servizi e del trasporto.
Cosa rimprovera ai commercianti oggi?
Gli eccessi individualistici che spesso riscontro nella categoria. Per molti di loro, si tratta di una caratteristica connaturata che non riescono a percepire come limite oggettivo per le proprie attività. Devono comprendere che il proprio universo non termina sulla soglia del proprio negozio, ma è necessario avere orizzonti molto più ampi per poter resistere in un settore ad elevatissima competizione come quello commerciale.
Si parla tanto di creare sinergie tra le forze associative (intendendo non solo quelle datoriali), ma non notiamo particolari azioni in atto in tal senso. Osserviamo tante iniziative ma tutte abbastanza isolate e spesso in concorrenza tra le varie associazioni. Dov’è il problema? E, soprattutto, qual è la soluzione?
Si parla tanto anche del benessere globale che vivremmo in una condizione di pace assoluta nel mondo, eppure il pianeta è sconvolto dalle tante guerre in atto. Il problema è sempre lo stesso. Gli interessi di pochi configgono con quelli della maggior parte della comunità che quasi sempre finiscono col prevaricare. Gli uomini alla guida dei governi, così come quelli a capo delle organizzazioni (non soltanto datoriali) spesso non hanno lo spessore necessario per favorire una reale coesione e convergenza delle parti, oppure – peggio ancora – predicano bene e razzolano male. Il problema? A mio parere, è sempre e solo una questione di uomini. La soluzione? Occorre che la nostra comunità sappia presto individuare quelli giusti da designare come nuova classe dirigente da orientare alla realizzazione del disegno più grande per il nostro territorio: il raggiungimento del bene comune.
E’ una persona dalle idee chiare e con tante relazioni, le è mai capitato di pensare di fare politica proponendosi come alternativa all’attuale schieramento di consiglieri, sindaci e assessori?
No, grazie. Prediligo di gran lunga l’attività politico-associativa che svolgo nell’ambito della mia organizzazione, che mi pone in un piano diretto di interlocuzione critico-costruttiva nei confronti delle varie amministrazioni del nostro territorio con cui si dialoga – e spesso ci si scontra – sui tanti temi di interesse generale e specifico per le molte categorie produttive che rappresentiamo.
Volendo immaginare Taranto da qui ai prossimi 10 anni, qual è la sua visione?
Temo un drastico calo della popolazione, concentrato soprattutto nella fascia giovanile. Sarebbe un disastro enorme, con tutto quanto di fortemente negativo ne conseguirebbe. Bisogna fare in fretta per arginare questo fenomeno, poiché è già in atto da diversi anni: i nostri ragazzi fanno le valige e vanno incontro alla vita, lontano dalla loro città cui si sentono legati, ma che troppo spesso non fornisce loro alcuna alternativa. E si tratta quasi sempre di “fughe” di capitale umano qualitativo; il che, impoverisce ulteriormente il nostro territorio già così depresso anche da questo punto di vista. Se vogliamo un futuro migliore per questa città, non possiamo prescindere dal saper coltivare e trattenere i nostri giovani migliori sul territorio. Saranno loro a garantire quel giusto ricambio generazionale e di classe dirigente di cui abbisogna fortemente la nostra città per risollevare la testa e rinascere. Ecco, se tutti insieme sapremo compiere questo piccolo “miracolo”, allora Taranto vivrà una stagione di rinnovamento; diversamente, non sono molto ottimista …
A distanza di un anno circa, ha avuto modo di conoscere Made in Taranto (madeintaranto.org).. Cosa ne pensa? E, in particolare, quali consigli un uomo della sua esperienza vorrebbe dare ad una realtà come la nostra?
Leggo che siete impegnati nel perseguire un auspicabile cambiamento del modello di sviluppo tradizionale attraverso la promozione della cooperazione tra imprese e professionisti del territorio, incentivando le possibili forme di aggregazione e di collaborazione tra i suddetti soggetti. Bene, la vostra è un’iniziativa meritevole; non semplice, immagino, ma lodevole. Non ho consigli da darvi se non quello di continuare ad operare sempre con lo stesso entusiasmo con cui avete cominciato.
In città ultimamente piovono proposte progettuali da più parti di riconversione industriale. Insomma si parla di aree no tax, di turismo, di bonifiche. Quanto ci possiamo credere nel fatto che tutte queste idee e proposte possano poi realmente avere un futuro come lo è stato per Bilbao, Pittsburg, ecc?
Tra la resa di Taranto ad un destino davvero impietoso e la sua possibile rinascita, ovviamente non posso che sognare ad occhi aperti la seconda ipotesi, ma devo riconoscere di fare molta fatica a credere che si possa – rapidamente – concretizzare un modello di sviluppo veramente alternativo per la nostra città. I tantissimi che si proclamano favorevoli alla chiusura dello stabilimento siderurgico (o della sua area a caldo) fondano giustamente le proprie ragioni sui casi di riqualificazione industriale di successo a livello internazionale (Duisburg, Dortmund, Bilbao, Metz, Pittsburgh, etc.), immaginando che anche Taranto possa finalmente “cambiare pelle” e che, probabilmente, per posizione geografica, clima, spiagge, enogastronomia, storia ed ospitalità la nostra città potrebbe giocare le sue carte, soprattutto, nell’ambito turistico. Ma oggi, disgraziatamente, a penalizzare Taranto, con un afflusso di turisti inferiore a quello di tutte le altre province pugliesi, oltre alla presenza invasiva ed inquinante dell’impianto siderurgico, sono le gravi carenze di strutture, di servizi e di logistica, con il capoluogo tarantino che resta l’unico in Puglia a non poter contare su compagnie aeree nello scalo cittadino. Per fare di Taranto una città turistica si renderebbe necessario un notevolissimo mix di investimenti pubblici e privati, agevolazioni fiscali, garanzie sui crediti. Ma servirebbe un intervento pubblico straordinariamente cospicuo, per far da leva ai fondi privati. E devo purtroppo constatare che,fino ad oggi, sono state stanziate per la nostra città soltanto poche decine di milioni (briciole) per cominciare le bonifiche. Con la finanza pubblica sotto stress, senza possibilità di spese in deficit, sembra impossibile trovare le risorse necessarie. Anche a voler essere incrollabili ottimisti e a voler immaginare un “lieto fine” anche per Taranto, c’è da rendersi conto che ciò potrà avvenire solo se i tarantini, che dovranno essere compatti come mai lo sono stati, almeno nella storia recente della città, avranno un progetto comune da seguire con incredibile costanza e caparbietà, facendo valere le proprie ragioni in Italia ed in Europa.
Quale futuro per la Città Vecchia?
Fare ciò che hanno saputo fare egregiamente in altri centri storici italiani: costituire una Fondazione che metta insieme pubblico e privato per il recupero della Città Vecchia, anche attingendo ai fondi comunitari 2014-2020 attraverso un accordo tra Regione e Comune, com’è già avvenuto in Campania, dove una significativa quota di fondi europei 2007-2013 è stata destinata ad interventi nel centro storico di Napoli. Ciò consentirebbe di recuperare le grandi bellezze che caratterizzano il nostro borgo antico, facendo tornare alla vita i tanti spazi e manufatti urbani che oggi si ritrovano in un pericolosissimo stato di abbandono e decadenza.
Qual è la sua ricetta per la felicità.
Vivere ogni giorno della mia vita facendo ciò che ritengo sia più giusto per me e per gli altri.
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