Ilva e Museo Mar.Ta.: come può uno scoglio arginare il mare?

Come si può costruire un cammino con l’Ilva che ha prima illuso Taranto con un benessere di plastica e poi l’ha affossata, contaminando tutto? – Alessandra Cavallaro

Come può uno scoglio arginare il mare.. a margine delle riflessioni della giornalista e, parafrasando le parole di una nota canzone di Lucio Battisti, ci chiediamo come sia possibile accettare una sponsorizzazione da parte di un’azienda che ha prima illuso Taranto con un benessere di plastica e poi l’ha affossata, contaminando tutto.

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Rocco Giove, fotografo certificato Google:  www.smarpano.it  – Stitched Panorama

Esistono ferite che il tempo asciuga. Perché sono tagli lievi, solchi leggeri solleticati solo dalla rabbia del momento. Sono contusioni che svaniscono, che la pelle assorbe, dimentica. E poi ci sono piaghe che il derma non rimargina, perché sono croci, precipizi dentro i quali Taranto è affogata. Sono colpi al cuore, alla memoria. E non c’è nulla di retorico, perché sono nomi e numeri, che i rapporti sulla sanità riconoscono.

C’è una città che non ha condiviso le dichiarazioni del neo direttore del Museo Archeologico, Eva Degl’Innocenti che ha paventato la possibilità di creare un ponte tra l’Ilva e il museo stesso, in quanto a sponsorizzazioni. Una strada tutta da costruire, sia chiaro, da progettare, eventualmente, nel solco di quanto già fatto in altre parti del mondo, dove la “grande” industria si è messa le mani in tasca e ha investito in cultura, arte, turismo. In pratica ciò di cui si sente parlare da decenni per Taranto. Un vociare veloce, contrariamente agli investimenti, pubblici e privati, che seguono percorsi lentissimi. Quel poco, ed è davvero poco, che ha permesso alla città di farsi notare non solo per il disastro ambientale consumato ai suoi danni, ma anche per il suo mantello di mare, coste, archeologia, palazzi, chiese, enogastronomia, è merito della buona volontà dei “piccoli” imprenditori, che hanno agito in maniera tacita, e persino rimettendoci economicamente.

Che ci si possa incamminare, dunque, in futuro, in un percorso strutturato per il rilancio del Museo, mettendo in una stessa cordata l’imprenditoria che a Taranto ha mostrato interesse per la sua terra, è pensiero condivisibile, persino da approfondire e da realizzare in maniera sana e lungimirante. Ma quando si parla di Ilva, esiste oggettivamente un’impasse, che è nella sostanza dei fatti, più che nell’idea di massima espressa dal neo direttore. Domanda: come si può costruire un cammino con chi ha prima illuso Taranto con un benessere di plastica, e poi l’ha affossata, contaminando tutto, terreni, pensieri, politica? E non si tratta di demagogia spicciola, né di crociate, di barricate, di lagne ottuse, o chiuse dietro un pregiudizio, perché quelle croci sul derma sono ancora vive. E una passata di denaro, quasi a voler ritinteggiare una parete, non le cancellerà. Ci sono molti modi per restituire, pulire. Una sola è invece, la voce che andrebbe ascoltata, ed è quella del buon senso.

Poco importa a chi ha visto morire suo figlio di cancro, se oggi una sponsorizzazione della “nuova” Ilva, ritornata pubblica e quindi non più privata, può contribuire al rilancio di un polo museale che nonostante un restyling eccellente, non ha ancora i numeri che meriterebbe. Ombre, macchie, che non è possibile ignorare, perché vorrebbe dire scavalcare, ancora, donne a cui è negato persino portare il lutto. Madri a cui dobbiamo, tutti, silenzio e rispetto.

(Alessandra Cavallaro)

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