Lezioni “di strada” per i bambini della Città Vecchia

foto di Michelangelo Consoli
foto di Michelangelo Consoli

“Giuà, ma ci è?”.
Mentre aiutano a ripulire la targa commemorativa dedicata a Giovanni Paisiello, i bambini della città vecchia fanno domande.

Giocano a salire sulla scala e si arrampicano fino al marmo che ricorda dove è nato il compositore tarantino.
Poi guardano meglio e tornano a domandare. “Giuà, ma ce signifeche?”.

In effetti la scritta non è di semplice interpretazione, per il contenuto e per la forma verbale che lega le parole.
Sta di fatto però che tale “Giuà” si mette, con la santa pazienza, a reggere la scala, mentre il più grande del gruppetto si diverte a grattare le fessure per leggere un’altra parola strana e sconosciuta, tipo “illustre”. Complicatissima.

Già la scuola a loro insegna poco, un po’ perché  in città vecchia una lezione, ad esempio di grammatica, avrebbe bisogno di una shakerata di fantasia, humor, calma, dedizione, e non tutti i docenti sono preparati a questo, un po’ perché loro, i bambini nati per strada, di studiare proprio non ne vogliono sapere. Capita anche che entrino agli “Armeni”, la chiesetta di Sant’Andrea in piazzetta Monteoliveto, dove ogni tanto i volontari svolgono ripetizioni. “Vide ce je ‘aqua?” chiedono. Compiti per loro improponibili, analisi testuali a ragazzini delle scuole medie, che vengono promossi “alle elementari”, solo per “toglierseli davanti”.

E che non hanno la più pallida idea di cosa sia un verbo al modo “indicativo”, figuriamoci la difficoltà/rinuncia, se gli viene chiesto di scovare una figura retorica in una poesia o di spiegare i tempi di una narrazione.
Roba da barzelletta. Eppure è storia vissuta e documentata.

Ed ecco che ripulire una targa diventa quel pezzo mancante che prova ad incollare le corse tra i vicoli e le facce furbette, fragili e maleducate, con la necessità di conoscenza, quel sentiero traballante per non allinearsi domani a scelte obbligate.

I bambini della città vecchia pur essendo anfore di bisogni, si nascondono sempre, anche quando sfidano il pallone e la sorte. Si nascondo perché hanno  paura. Paura di cio’ che non conoscono. Si mescolano tra i vicoli e tra di loro, e duellano con chi “non ce appartene”. Ma portati a respirare “un altrove” senza gabbie, sono bambini come tutti gli altri.

E’ inutile accarezzarli nella maniera consueta, loro non le conoscono le carezze.
E’ inutile spiegarli dov’è l’America, loro vedono pescherecci, mare e Ilva. Ma portati a ripulire e a leggere la scritta su un muro vicino casa, prima domanderanno: “Ma ci è Paisiell?”.
E poi risponderanno: “Quidd antiche ca sunave!”. Magari non è il classico feedback da banchi di scuola, ma la lezione di certo l’hanno imparata.

Alessandra Cavallaro
Giornalista Professionista
E-mail alecavallaro78@gmail.com
Twitter @alecavallaro78

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