“Zia ho capito. Vuoi un esempio? Io che amo la nonna anche se ha la dentiera che non mi piace”. In effetti aveva capito. Ed era inutile spiegare a mia nipote, con una prosopopea saccente e da adulto, cosa fosse l’amore. Domenica sera, l’Auditorium Tarentum ha ospitato uno spettacolo “difficile”, almeno questo pensavo prima di essere categoricamente smentita con una frase. Io e lei, ma più lei che io a questo punto, abbiamo visto “L’Usignolo e la Rosa”, portato in scena dal Teatro delle Molliche, liberamente tratto dal racconto di Oscar Wilde (www.auditoriumtarentum.it/programma-eventi/pane-e-teatro). Non Gianni Rodari, che comunque non è sempre di facile interpretazione, ma Oscar Wilde, e già questo appariva, in un contesto fiabesco e per bambini, come una melodia che da qualche parte si sarebbe inceppata. Non tanto negli occhi dei bambini, attratti dalla luna enorme sullo sfondo, dai colori dei vestiti, dai petali rossi, quanto piuttosto nel sentire dei genitori, chiamati a dover dare una risposta, dopo, a casa, sul perché una persona sceglie di donarsi senza ottenere nulla in cambio. “Sappiamo che lo spettacolo non è convenzionale, e sappiamo che non è facile spiegare ad un bambino il sacrificio, però il senso del teatro per le famiglie è proprio questo, far continuare la fiaba anche quando qui i riflettori si spengono”. Uno degli attori dal palco guarda la platea, illuminata dalle luci riaccese per richiamare i titoli di coda. Una platea che già mormorava “Sta roba non è proprio per bambini”. Ed invece con un piglio, semplice e geniale, Oscar Wilde non aveva pensato, attraverso i suoi racconti, di abbracciare i bambini prima di andare a letto, ma le mamme e i papà. Impreparati ad accogliere una carezza.
Devo dirla tutta, non apprezzo il termine sacrificio, mi sa di “sforzati”, “resisti”, “sopporta”, e nulla di tutto questo è legato all’amore, che ha dentro di sé un’energia che non è rabbia, ma è responsabilità. Però spogliando la fiaba di questo termine, e magari mettendogli la veste del dono, che non domanda nulla in cambio, e del bene che tale resta, sebbene consapevole delle imperfezioni altrui, la storia comincia a girare, a muoversi. A danzare. E allora l’usignolo che decide di trasformarsi in rosa per far contento un “innamorato”, cambiando natura per dimostrare che dell’amore conta il gesto decontaminato, spontaneo, e sia chiaro non il sacrificio che domanda un tornaconto, diventa il protagonista di un teatro che candida un messaggio saggio e nobile.
Ed è con questo piccolo racconto che oggi apriamo una rubrica “…a riveder le stelle”, che si propone, con grande umiltà, di traghettare pagine di borgata, sagge, nobili, decontaminate. Prive di protagonismo, di ribellione. Che del sacrificio conoscono solo la purezza. Minuscoli angoli della Taranto che sa, silenziosamente, amare ancora.
Alessandra Cavallaro
Giornalista professionista
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