1 malato di cancro ogni 18 abitanti: lo Stato risarcisca Taranto

Operai e cittadini dovrebbero fare fronte comune per richiedere subito la chiusura dell’Ilva, il pre-pensionamento di tutti i dipendenti, la bonifica immediata di tutta l’area e il risarcimento dei danni subiti in 50 anni di bugie

Mi viene in mente solo la parola Rivoluzione.

Per chi come me ha un figlio piccolo, è molto dura non pensare che si stia compiendo una strage silenziosa.

Non so a quanti di voi è capitato di avere in famiglia un caso di cancro.
Vi assicuro che è molto dura.

E’ straziante.

Dunque, secondo quanto diffuso qualche anno fa da Peacelink, la proporzione di chi è affetto da questa patologia tocca punte di 1 caso ogni 18 abitanti nella zona industriale del centro pugliese.

Il dato è stato ricavato analizzando i dati sull’esenzione dal ticket sanitario per “malattie tumorali” (codice: 048), riconosciuta a 8.916 individui su 191.848 residenti (dato ultimo Censimento).

In particolare, sottolinea Peacelink: nel distretto sanitario 3, che comprende i quartieri più vicini all’area industriale (quartiere Tamburi, Paolo VI, Città Vecchia e parte del Borgo), c’è un malato di cancro ogni 18 abitanti. Per la precisione 4328 malati su 78mila abitanti.
Migliora, ma non di molto la diffusione nelle altre zone di Taranto: nei quartieri più lontani dal polo industriale si registra 1 caso di tumore ogni 26 abitanti. Numeri che si suppone siano stimati al ribasso se considerati i possibili casi di tumori latenti (non ancora manifestatisi) o non diagnosticati.

Sono numeri davvero inaccettabili per non scatenare una rivoluzione!

Anche sul piano occupazionale, le cose non vanno meglio: ArcelorMittal non va oltre le 10.500 assunzioni.

Già sin da ora, si profilano i primi licenziamenti.

E con il tempo, sarà sempre peggio, perché quella fabbrica è destinata a chiudere.

Se non scateniamo ora la rivoluzione, dopo sarà troppo tardi.

Le richieste sono semplici: chiusura delle fonti inquinanti (come promesso dai Cinque Stelle), bonifica estesa di tutta l’area (e non solo), il pre-pensionamento di tutto il personale con fasce progressive sino allo smantellamento degli stabilimenti e il risarcimento dei danni subiti in 50 anni di bugie.

In Germania, ci sono riusciti: l’area è stata finita di bonificare in dieci anni (1990-2000) e a tutt’oggi è un esempio seguito da tutti gli architetti, i bio-architetti e gli ingegneri del mondo industrializzato.

Nel 1989 alcuni comuni del bacino della Rurh si consorziarono per dar vita a un’importante operazione di risanamento del territorio.

Negli anni si è trasformata nella più colossale riconversione industriale del mondo.

E noi in Italia abbiamo i fondi per una riconversione? Sembrerebbe di no. Quindi meglio chiuderla.

A Taranto, cittadini e operai dovrebbero fare fronte comune per una rivoluzione all’insegna del vero cambiamento, fatto di ricostruzione di un intero comparto manifatturiero scomparso, il risanamento delle numerosissime aziende in crisi e la riqualificazione imprenditoriale che noi di Made in Taranto abbiamo già avviato con un’iniziativa dedicata agli imprenditori con meno di 45 anni ==> https://www.madeintaranto.org/fare-impresa-a-taranto/

Mi aspetto grandi cose dalla mia città.

«O l’acciaio o la vita: devi scegliere», ha scritto qualcuno sulle mura della chiesa di San Francesco De Geronimo, alle porte del quartiere Tamburi, quello immediatamente a ridosso dell’acciaieria, più soggetto ai venti che ne trascinano le polveri.

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