La leggenda dell’anello di San Cataldo e i famosi citri di Taranto

Un gesto semplice, una tempesta che si placa, e un vortice limpido che da secoli continua a muoversi nel mare di Taranto: così nasce la leggenda dell’anello di San Cataldo, dove fede e natura si incontrano in un racconto che ancora oggi affascina la città.

Un gesto semplice, una tempesta che si placa, e un vortice limpido che da secoli continua a muoversi nel mare di Taranto: così nasce la leggenda dell’anello di San Cataldo, dove fede e natura si incontrano in un racconto che ancora oggi affascina la città.

C’è un anello, a Taranto, che non si trova in gioielleria né su un dito nobile.
È nascosto sotto le acque del Mar Grande, e a differenza di tanti altri anelli, non ha mai smesso di far parlare di sé.

Si racconta che apparteneva a San Cataldo, il patrono della città.
E secondo la leggenda, è proprio grazie a quell’anello se oggi, nel mare di Taranto, l’acqua dolce incontra quella salata dando vita a un piccolo miracolo naturale: i citri.

Tutto cominciò durante un viaggio in mare. San Cataldo stava rientrando dalla Terra Santa, quando la nave fu colta da una tempesta violenta.
Le onde si alzavano minacciose, l’equipaggio era nel panico. In quel momento, il Santo fece una cosa apparentemente inspiegabile: si tolse l’anello pastorale e lo gettò in mare.

Immediatamente, il vento si placò, le onde si abbassarono e il mare tornò calmo.

Ma il miracolo non finì lì.

Nel punto esatto in cui l’anello era caduto, le acque iniziarono a muoversi in modo diverso, come se da sotto stesse sgorgando una sorgente viva.
Un vortice limpido, dolce, che ancora oggi i tarantini chiamano “Anijedde de San Catavete”, ovvero il Citro di San Cataldo.

Cosa sono i citri di Taranto?

Dal punto di vista scientifico, un citro è lo sbocco marino di un fiume sotterraneo.
Questi corsi d’acqua arrivano fino alla costa da lontano — dalla Murgia, dicono alcuni — e si riversano in mare, creando piccole aree di acqua dolce nel bel mezzo del mare salato.

Nel Mar Piccolo ce ne sono ben 34, ma nel Mar Grande ne esiste solo uno. Ed è proprio quello legato alla leggenda dell’anello.

Il termine “citro” viene dal greco kutros, cioè “pentola”.
Chi si affaccia sul lungomare può notare il fenomeno: l’acqua ribolle dolcemente, come se una mano invisibile stesse mescolando il fondo.

Questo incontro tra acqua dolce e salmastra ha fatto di Taranto uno dei luoghi migliori al mondo per l’allevamento di cozze e ostriche.
I mitili crescono qui in un equilibrio perfetto, nutrendosi sia dei sali minerali del mare che della freschezza dolce dei citri.

Il risultato?

Cozze dal sapore unico, apprezzate ovunque.

Allora viene quasi da sorridere: un gesto di fede compiuto secoli fa avrebbe creato — secondo la leggenda — anche le condizioni ideali per uno dei simboli gastronomici della città.

Miracoli e cozze. A Taranto le due cose vanno spesso a braccetto.

Certo, oggi sappiamo che i citri esistono per motivi geologici.
Ma a Taranto piace pensare che l’anello sia ancora lì, sul fondo, avvolto nella sabbia, a proteggere silenziosamente la città.

Un piccolo segno di un passato che continua a pulsare, di una fede che non ha mai smesso di dialogare con la natura.

Curiosità e simboli
● Citri e poesia: già nel Seicento, i citri furono celebrati anche in versi, come quelli di Tommaso Niccolò D’Aquino nelle sue Delizie Tarantine, che descrivevano con stupore “l’onda dolce che sbocca tra l’umor salso”.

● Un dolce che racconta una storia: in tempi più recenti, un panificio tarantino ha creato un dolce dedicato proprio a San Cataldo: una ciambella metà dolce e metà salata, per simboleggiare l’unione tra le due acque. La forma, naturalmente, ricorda un anello.

Una storia tutta da guardare (e da credere, se si vuole)
Quella dell’anello di San Cataldo è una leggenda, certo. Ma è anche una parte viva dell’identità tarantina.
È un racconto che mescola fede, mare, tradizione, scienza e poesia.
Un modo per spiegare ciò che la natura ha creato… ma con un pizzico di meraviglia in più.

E se un giorno ti troverai a passeggiare sul lungomare e vedrai l’acqua disegnare cerchi strani sulla superficie, non ti stupire.

Forse — solo forse — l’anello è ancora lì, a ricordarci che certi legami tra cielo e mare non si spezzano mai.

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Un gesto semplice, una tempesta che si placa, e un vortice limpido che da secoli continua a muoversi nel mare di Taranto: così nasce la leggenda dell’anello di San Cataldo, dove fede e natura si incontrano in un racconto che ancora oggi affascina la città.

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