Storia di San Cataldo: il santo irlandese che scelse Taranto

Come ha fatto un vescovo irlandese a diventare il patrono di Taranto? La storia di San Cataldo è fatta di viaggi, visioni, miracoli e incontri che hanno cambiato il destino di un’intera città. E che, ancora oggi, raccontano il legame profondo tra fede, mare e identità.

Come ha fatto un vescovo irlandese a diventare il patrono di Taranto?
La storia di San Cataldo è fatta di viaggi, visioni, miracoli e incontri che hanno cambiato il destino di un’intera città. E che, ancora oggi, raccontano il legame profondo tra fede, mare e identità.

Chi vive a Taranto sa bene chi è San Cataldo. È il patrono della città, l’uomo a cui ci si rivolge con rispetto e affetto, il volto d’argento che attraversa il mare in processione ogni maggio.
Ma c’è un dettaglio curioso, che ogni tanto fa storcere il naso o strappare un sorriso: San Cataldo non era tarantino. Era irlandese.

Già, viene da lontano. Molto lontano.
E la domanda sorge spontanea: cosa ci faceva un vescovo dell’Irlanda profonda sulle sponde dello Ionio?

Cataldo nacque da una famiglia nobile. I genitori, Euco e Aclena, erano cristiani devoti. Secondo le storie tramandate, il giorno della sua nascita il cielo si accese di una luce così intensa che un mago di passaggio, colpito da quel bagliore, ne interpretò il senso: quel neonato avrebbe illuminato il cammino di molti e li avrebbe condotti alla fede.

Crescendo, Cataldo si fece notare non solo per la sua bontà d’animo e la preparazione, ma anche per un talento fuori dal comune: i miracoli.

Guarigioni, resurrezioni, visioni. I racconti popolari parlano di prodigi compiuti con la naturalezza di un gesto quotidiano. Una carezza, una parola, e l’impossibile accadeva.

Come spesso succede, la fama di Cataldo non passò inosservata ai potenti.
Un re — di cui non si sa bene il nome — lo fece arrestare con l’accusa di stregoneria.
Passò una sola notte in cella. Tanto bastò.

Durante quella notte, il re sognò due angeli: uno gli annunciava la morte imminente, l’altro gli diceva che si sarebbe salvato solo se avesse liberato il prigioniero e gli avesse offerto il ducato di Meltride.

Al risveglio, arrivò un messaggero: il duca Meltride era appena morto.
Il re, terrorizzato, liberò Cataldo e gli affidò il ducato e il vescovado di Rachau. Un gesto che, almeno in parte, rimise le cose a posto.

Dopo qualche tempo, Cataldo partì in pellegrinaggio verso la Terra Santa.
Lì ebbe una visione potente: Dio stesso gli chiese di andare a Taranto, perché in quella città la fede rischiava di spegnersi.
“Vai — gli disse — e guida quel popolo smarrito”.

Cataldo, obbediente, si imbarcò. Ma il viaggio non fu semplice. Una violenta tempesta colpì la nave.
Un marinaio morì durante la traversata, travolto dall’albero maestro.
Cataldo pregò, e anche questa volta accadde l’impossibile: il marinaio tornò in vita.
Il mare si calmò. E Taranto apparve all’orizzonte.

Una volta sbarcato, Cataldo si mise subito all’opera.
Cominciò a predicare, a visitare i malati, a riaccendere la speranza.
Si racconta che fece tantissimi miracoli anche qui. La città, conquistata dalla sua umanità e dal suo carisma, lo volle come vescovo.

Non sappiamo esattamente quanto visse a Taranto — si dice una ventina d’anni — ma è certo che alla sua morte chiese di essere sepolto vicino alla cattedrale, accanto alla cappella di San Giovanni in Galilea.

Col passare dei secoli, le guerre e le devastazioni fecero perdere ogni traccia del suo corpo.
Finché, nel 1071, durante i lavori per la ricostruzione del Duomo, venne alla luce un sarcofago.
Appena aperto, l’aria si riempì di un profumo dolcissimo.
All’interno, un corpo intatto e una crocetta d’oro con inciso il nome: Cataldus.

La notizia si diffuse subito. I fedeli accorsero. Si racconta che solo toccando le sue ossa si guariva da malattie e dolori.

Oggi, le reliquie di San Cataldo sono custodite nel Cappellone del Duomo.
Ed è lì che ogni anno, nei giorni dell’8, 9 e 10 maggio, si aprono le celebrazioni in suo onore.

La festa patronale in suo onore e la processione sul mare

Festa di San Cataldo
foto di Daniela Minosi

La festa patronale di San Cataldo è una delle più sentite del Sud Italia.
Tra fuochi d’artificio, luci, bancarelle, eventi culturali e spettacoli tradizionali, c’è un momento che emoziona più di tutti:
la processione in mare.

La statua d’argento del Santo viene portata su un peschereccio addobbato, attraversa il canale navigabile, seguita da decine di barche, sirene spiegate e occhi pieni di lacrime.
È un gesto che si ripete ogni anno. E ogni anno pare nuovo, come se raccontasse di nuovo quel primo approdo, quel primo incontro tra un uomo venuto da lontano e una città che aveva bisogno di lui.

Cataldo non era tarantino. Eppure, nessuno più di lui è riuscito a entrare così a fondo nell’anima della città.
Forse perché Taranto è così: ti mette alla prova, ma se la scegli, ti accoglie per sempre.

E San Cataldo l’ha scelta.
Con fede, coraggio e amore.
Il resto, è storia. La nostra.

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Come ha fatto un vescovo irlandese a diventare il patrono di Taranto?La storia di San Cataldo è fatta di viaggi, visioni, miracoli e incontri che hanno cambiato il destino di un’intera città. E che, ancora oggi, raccontano il legame profondo tra fede, mare e identità.

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