I fichi secchi accucchiati sono antiche prelibatezze tarantine. D’estate è facile imbattersi nei “cannizzi” al sole tra le vie dei borghi di provincia
I fichi secchi accucchiati non sono nient’altro fichi essiccati come vuole la tradizione tarantina, ovvero su tipici “cannizzi” (graticci di canne) esposti al sole d’estate.
Fino ai primi anni ‘60, la Puglia era però al primo posto nella produzione di fichi secchi.
Il declino della coltura è imputabile alla sostituzione con altre forme di coltivazione ritenute più redditizie come la vite.
L’unica varietà, tra i fichi secchi prodotti in Puglia, rinvenibile sui banchi di vendita, è il Dottato, una delle specialità più pregiate del Mezzogiorno.
La preparazione dei fichi secchi accucchiati prevedeva l’apertura dei frutti a metà e l’utilizzo dei suddetti cannizzi.
Il procedimento era tutt’altro che semplice, perché occorreva fare molta attenzione alla successiva cottura in forno e conservazione che non doveva renderli troppo duri, umidi o ammuffiti.
Al termine dell’essicazione, i fichi secchi venivano accucchiati, ossia accoppiati, farcendoli con con mandorle tostate, cannella e pezzi di cioccolata.
Infine venivano riposti a strati in con semi di finocchio e foglie di àlaure, alloro.
Infine venivano conservati a strati in apposite capase, contenitori di terracotta smaltata, in attesa dell’inverno.
Altre curiosità sui fichi
I fichi costituivano uno degli elementi base della dieta contadina, perché la pianta fruttifica facilmente sui terreni aridi, tipici delle nostre latitudini.
Se ne contano almeno 44 varietà, dai fichi dalla buccia verde come le san jiuanne, le vùttate, le vèrdune, le vernèle, le tabaccose… ai fichi dalla buccia nera come le santamaria, le passùdde, l’ acine de pèpe.
E d’inverno rappresenta un’ottima riserva energetica.
Venivano raccolti mediante arnesi speciali quali u rocche, bastoni a forma di uncino, e con il cosiddetto panare, contenitore a forma di secchio, fatto con rami e canne impagliate.
I frutti che maturano per primi non sono molti, ma sono più grossi e sono chiamati le culùmme, i fioroni;
i frutti maturati precocemente e caduti al suolo, chiamati carachizze, venivano utilizzate per l’alimentazione del bestiame.
Vengono racconti da caratteristici alberi dalle foglie larghe e robuste, piuttosto diffusi in tutto il Mediterraneo. sono ancora molto diffusi tra le vie dei piccoli borghi della provincia di Taranto sul finire del mese di luglio.
Ma la loro origine risiede nell’Asia Minore, dove la sua coltura ebbe inizio in epoche antichissime.
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