In Abruzzo, la Cozza verso la Dop. Taranto invece non decide cosa vuol fare da grande

cozza di taranto

I mitilicoltori abruzzesi (ma non solo) stanno lavorando duramente per ottenere la certificazione Cozza Dop. A Taranto invece si fa solo tanto fumo. In tutti i sensi. Cozze e grande industria possono coesistere? Io qualche dubbio ce l’avrei. 

La notizia è di oggi.

Non tutti sanno che, al largo tra Ortona e Vasto, si concentra il grosso della mitilicoltura abruzzese. Qui l’organizzazione dei produttori acquacoltori della Costa dei Trabocchi si prepara ad acquisire la certificazione Dop.

La cozza tarantina invece sta a guardare.

Per carità, non che qualcuno non si sia mosso nel tentativo di far qualcosa, ma di fatto siamo ancora all’anno zero.

Al di là dei proclami e degli annunci vari, qui a Taranto si fa solo tanto fumo. In tutti i sensi.

Questa città non decide cosa vuol fare da grande.

I danni da inquinamento (il primo seno di Mar Piccolo ha assorbito nel tempo gli scarichi delle lavorazioni siderurgiche, navalmeccaniche e cantieristiche) sono ancora tutti lì.

Nello stesso tempo, la cozza nera di Taranto è diventata Presidio Slow Food. Significa che chi ha aderito al Presidio (circa 20 mitilicoltori) dovrebbe attenersi a determinate procedure di produzione. Tutto ciò al fine di garantire certi standard di qualità e la tracciabilità.

E sempre nello stesso tempo, qualcuno intelligentemente si è mosso dal punto di vista marketing attivando una campagna “Cozza tarantina challenge”.

La verità è che un conto sono le campagne marketing e un conto sono i fatti: la certificazione Dop è l’unica vera operazione da cui partire per poi organizzare tutto il resto.

Senza dop, la cozza non sa di nulla.

Si lo so, ora sto esagerando, ma vorrei che il messaggio arrivi il più possibile forte e chiaro.

Non ci può essere alcun futuro economico per la mitilicoltura senza la certezza del fatto che le cozze vengono prodotte in un mare pulito e sicuro.

E’ appena di un anno fa la notizia del sequestro à di 20 quintali di «cozze alla diossina» destinate al mercato barese. Il fatto è avvenuto nel Primo Seno del Mar Piccolo, in prossimità dei Cantieri Tosi, dove un furgone stava caricando i mitili provenienti dai vicini filari. Polizia e Guardia costiera, intervenuti in flagranza di reato, hanno proceduto al sequestro di cozze e automezzo.

Nello stesso tempo, persino nelle acque della foce del Po’, arriva un’altra Dop per le cozze prodotte qui. E’ la Cozza di Scardovari DOP, un mollusco bivalve dalla forma allungata con conchiglia di colore nero-violaceo appartenente alla specie Mytilus galloprovincialis.

Quindi a che gioco stiamo giocando?

Taranto ha una grande eredità. Tutti conoscono l’eccellenza della cozza tarantina, quella di un tempo però.

E oggi?

Oggi siamo in balia dell’alternanza dei governi, degli slanci e degli slogan di certi sindacati, degli isterismi degli industriali e  dell’eterna improvvisazione imprenditoriale sia in termini di gestione che di marketing.

Il marketing è una cosa seria.

Non è fatto di iniziative, di foto e di video acchiappa like sui Social, ma di strategie basate sulla certezza di un prodotto che può e deve essere specchio dell’eccellenza di una produzione centenaria.

Taranto cosa vuol fare da grande?

Industria o cosa?

Inutile prendersi in giro. Un prodotto delicato come la cozza non può coesistere con un’economia e gli interessi della grande industria che di certo non scaricano in mare acqua di sorgente.

Nella vita mi hanno insegnato che, per avere successo, devi avere innanzitutto le idee chiare e scegliere quale direzione prendere.

In questa città invece ci hanno abituati ad avere i piedi in duecento scarpe.

O non è così?

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